Gregorio Sciltian, pittore russo di etnia armena, nasce a nel 1900 a Nakhichevan-na-Donu, da una ricca famiglia armena.
Si forma presso l’Accademia di San Pietroburgo.
Nel 1919 lascia la Russia e si muove verso Constantinopoli, passando per Berlino, dove sposa Elena Boberman, per poi trasferirsi a Roma, dove apre uno studio.
In Italia partecipa alla Biennale di Venezia del 1926 mentre a Parigi espone al Salon des. Nella capitale francese il Museo di Lussemburgo acquista una sua opera.
Nel 1928 partecipa all’Exposition de l’Art Russe al Palais des Beaux Arts di Bruxelles. Una sua opera entra al Museo Reale del Belgio.
Nel 1934, si stabilisce a Milano dove allestisce una personale milanese alla Galleria Scopinich, recensita da Carlo Carrà su “L’Ambrosiano”. Nella città meneghina apre uno studio a Palazzo Trivulzio.
Continua a esporre in tutta Italia in città come Venezia e Firenze e realizza opere per commissioni estere.
Muore a Roma nel 1985.
Le sue immagini, dettagliate e realistiche hanno spesso un velo di mistero e di magia che scavano nell’inconscio, andando quasi a confondere il vero con il falso.
Questa atmosfera si respira nel capolavoro “Venere dormiente” del 1954, dove viene raffigurata una splendida donna dal corpo perfetto e sensuale, con occhi socchiusi e sorriso accennato, che le conferiscono un’espressione trasognata, in una posa plastica che richiama il capolavoro scultoreo di Antonio Canova, Paolina Bonaparte.
A reggere il confronto con la scultura canoviana, oltre che la postura e l’atteggiamento, sono alcuni elementi, come il busto nudo e la veste leggera che copre le parti intime, rendendo l’opera carica di erotismo, e la donna pudica e seducente allo stesso tempo.
A rendere magica l’atmosfera sono la sgargiante cromia e gli elementi secondari in primo e secondo piano, come il fiocco rosso appoggiato al letto ai piedi della donna, le scarpe con tacco e il vestito da sera appoggiato alla poltrona e il tendaggio verde che occupa il lato destro del dipinto.
Sciltian è anche grande autore di nature morte, soprattutto strumenti musicali, che risentono l’influenza del Realismo Seicentesco, puntando a riprodurre, con precisione fotografica, l’illusione della realtà.
A suggestionare questo tipo di produzione artistica sono sicuramente i bergamaschi Evaristo Baschenis e Bartolomeo Bettera tra i maggiori rappresentanti di nature morte con strumenti musicali dell’Italia secentesca.
Nella nostra opera, sono raffigurati un liuto, un mandolino, un violino, una chitarra e una piccola tromba, spartiti svolazzanti, tessuti, libri e fiocchi, che creano un effetto di trompe-l’œil, tema costante della sua pittura.
Sulla parete di fondo, sono riprodotti con grande fedeltà agli originali, “Ritratto di musico” di Leonardo Da Vinci e “Due ragazzi che cantano” del pittore olandese Frans Hals.